venerdì 17 maggio 2019

Biblioteca Gela

L'edificio che ospita la Biblioteca è stato realizzato intorno all'ultimo ventennio dell'Ottocento a ridosso del cimitero monumentale. Esso era in origine il convento Agostiniano, eretto fuori dalle mura cittadine, trasformato poi in lazzaretto. Si presenta nelle sue forme attuali dopo il suo restauro degli anni Ottanta. La struttura si sviluppa longitudinalmente nel verso Nordest-Sudovest a forma di rettangolo irregolare a due piani. L'ingresso principale si apre sul lato lungo, mentre numerose finestre chiuse da archi a basso sestone movimentano la facciata.
In origine annesso al convento furono realizzati un colombaio cimiteriale della confraternita di S. Giuseppe e la chiesetta di S. Nicola di Tolentino (aperta al culto il 10 ottobre 1880) entrambi a ridosso dell'antica chiesa di San Biagio (di probabile origine Arabo-Normanna). Nella chiesetta di S. Nicola di Tolentino si conserva ancora la statua lignea del 1894 di Nostra Signora Liberi-Inferni dello scultore palermitano Bagnasco. Nonostante fosse in origine dislocato in una zona periferica, oggi l'ex convento Agostiniano risulta integrato al centro della città a causa dello sviluppo dell'edilizia degli anni cinquanta ed è collegato dal servizio di trasporti urbano mediante il Corso principale sul quale si affaccia. Recentemente si stanno approntando delle trasformazioni per l'istituzione in questa sede del Palazzo della Cultura.

Colonna Dorica

La Colonna Dorica (V sec. a.C.) è tra i monumenti più rappresentativi dell’antica città greca di Gela, unica superstite di un grande tempio dedicato ad Atena. Ritrovata nell’antica acropoli agli inizi del ‘900, fu successivamente rimessa in piedi su un podio negli anni ’50, quale simbolo del rinato interesse verso le antichità del territorio.
La colonna alta 7,75 m in origine poggiava direttamente sulla base del tempio, il quale, venne costruito per volere del tiranno Ierone di Gela a seguito della vittoria dei greci sui cartaginesi avvenuta nel 480 a.C. ad Himera.
Il tempio venne distrutto nel 405 a.C. da Himilko, un generale di Cartagine giunto in Sicilia per vendicare la disfatta di Himera. Assediata Gela, dopo la fuga dei suoi abitanti, la diede alle fiamme, abbattendo gli edifici sacri e tra questi il Tempio di Atena.
La città dorica veniva distrutta 283 anni dopo la sua fondazione. I resti del tempio vennero smontati per creare un emporio nell’area dell’acropoli e nel medioevo come cava per la costruzione di Eraclea. Delle probabili 48 colonne che costituivano il tempio in origine, rimase una sola colonna superstite, divenuta oggi uno dei simboli storici della moderna Gela.

Femmina Nuda

Fino ai primi degli anni Cinquanta sulla piazza principale di Gela troneggiava un busto marmoreo di Re Umberto I. Realizzato con marmo di Carrara dallo scultore palermitano Antonio Ugo e inaugurato nel 1903, tre anni dopo l’assassinio del monarca, fu voluto allora da tutta la città perchè rappresentava il sentimento di amor patrio e la dedizione alla casa sabauda dei gelesi. Nel 1952, al posto del busto del re, non si sa per quale recondito motivo, fu impiantata una statua bronzea di una florida donna nuda raffigurante, si disse, Demetra, dea greca delle messi. La statua, opera dello scultore bagherese Silvestre Cuffaro, fu commissionata dalla Regione Siciliana e regalata al compianto On.le Salvatore Aldisio il quale pensò bene di donarla alla sua città natale, anche se non sapeva di preciso che cosa raffigurasse. Infatti, nel giorno dell’inaugurazione, alla presenza di autorità civili, militari e religiose e di una strabocchevole folla che riempiva completamente la piazza, la gradinata e il sagrato dell’antistante chiesa Madre, il bronzo arrivò chiuso in un contenitore; di quello che accadde durante l’apertura dello stesso, lasciamo la  narrazione alle parole di Curtis Bill Pepper, uno scrittore giornalista americano presente alla cerimonia, il quale scrisse un articolo dal titolo “It happened in Italy” (E’ accaduto in Italia) di cui ne sintetizziamo  il testo.
    Nel momento solenne dello scoprimento, contrariamente a quanto di solito accade, non ci furono né grida di gioia né battute di mani, ma un silenzio tombale che calò tremendo sulla piazza. La folla che assisteva alla cerimonia rimase incredula e ammutolita nel veder comparire in tutte le sue fattezze una statua di una femmina completamente nuda con un drappo che succintamente ne avvolgeva anteriormente il bacino nella parte più intima: a Gela “nulla di simile si era mai visto”. Dopo l’iniziale smarrimento dei presenti, cominciarono a levarsi delle grida, quello di una donna “…ma è completamente nuda” e di un’altra “…non fate guardare i bambini”. Il compianto parroco della Madrice Mons. Gioacchino Federico, che doveva benedire il dono di Alfidio alla città, ripresosi dallo sgomento non potè fare a meno di gridare “bruciatela…, è un insulto continuo di fronte la chiesa, una tentazione diavolesca per i ragazzi giovani che vengono tentati prima del loro tempo”. Intanto, mentre “gli amanti dell’arte” e i “moralisti scioccati” dibattevano sul togliere o lasciare “la donna nuda” in piazza, alcuni volenterosi cercarono di porre rimedio a “tale vergogna” ricoprendo la statua con della stoffa, ma “il rimedio risultò peggiore del male” in quanto quel  drappo la fece diventare più sexy di quanto non fosse.
    Comunque, nonostante la contrarietà del parroco e di molte altre persone, fu deciso lo stesso di lasciare la statua nuda in piazza, anche se temporaneamente nella prima decade di settembre di quell’anno, fu tolta dal suo piedestallo in occasione dei festeggiamenti della Patrona di Gela alla presenza del vescovo della diocesi.
    Da diversi decenni si discute se far togliere o meno questa statua bronzea di Demetra (o Cerere ) e far ritornare il busto di Umberto I che da tempo si trova dimenticato in un angolino della Villa Comunale, ma più tempo passa e più tali discussioni diventano inutili. E così la fasulla Demetra continua a mostrare imperterrita le sue rotondità, una volta scandalose, tra l’indifferenza della gente che sosta in piazza.

sabato 11 maggio 2019

Mura di Timolonte

In base alle dimensioni della collina e ai ritrovamenti susseguitisi nei secoli è possibile immaginare una notevole estensione del sistema difensivo dell'antica colonia greca, la quale si espande nella zona di Capo Soprano solamente in coincidenza della ricostruzione della città da parte del tiranno Timoleonte nel IV sec. a.C., epoca alla quale appartiene il tratto di mura messo in luce.
Dei circa quattrocento metri lineari di fortificazioni, risultano in ottimo stato di conservazione circa i tre quarti. Nel primo tratto le mura risultano rovinate a causa delle spoliazioni di epoca medievale, quando i ruderi venivano riutilizzati per la costruzione della nuova città federiciana di Terranova e per le successive espansioni cinque-seicentesche. Questo primo tratto rivolto a nord presenta grossi blocchi ben squadrati di pietra arenaria (di due colorazioni differenti), coi resti di una scala che conduceva ai camminamenti di ronda. Proseguendo si notano il basamento di una prima torre di avvistamento e i resti di una seconda torre con funzione militare esposta verso sud-ovest. Proseguendo ancora si giunge in un ampio piazzale dal quale è possibile ammirare il reperto in tutta la sua complessità. Per un tratto di oltre 200 metri le mura si sono conservate praticameate intatte. Qui le mura si presentano con un basamento sempre in grossi blocchi di arenaria (alto più di 3 metri) sopra al quale si sviluppa un tratto di mura realizzato in mattoni crudi (di argilla e paglia) detti "cotti al sole" (in quanto non venivano cotti in forni ma lasciati essiccare al sole per alcuni giorni prima di essere impiegati). Per la ricostruzione di alcune parti crollate recentemente è stata utilizzata la stessa tecnica usata anticamente dopo attenti studi sulla composizione dei mattoni. Le mura oggi come allora erano esposte a sud, in una zona particolarmente ventosa prospiciente la costa. Per tale ragione erano soggette a un continuo insabbiamento che ne provocava una diminuzione d'altezza mettendo a rischio la sicurezza della città. Si presume che, per aumentare l'elevazione in vista del probabile arrivo dei Cartaginesi, in seguito ad un vistoso insabbiamento gli antichi abitanti della città decisero di realizzare una sopraelevazione in mattoni crudi che risulta in qualche tratto imperfetta, probabilmente a causa della premura dettata dalla preoccupazione del momento. Una tecnica sicuramente più rapida e meno costosa. È inoltre ipotizzabile che l'orografia della zona si presentasse in maniera differente da quella attuale, con le mura poste direttamente a picco sul burrone della collina scoscesa sulla costa.
Sul lato meridionale delle mura si nota il basamento di un terzo torrione di avvistamento che assieme agli altri fa dedurre che la cinta muraria dovesse essere dotata a tratti regolari di torri di servizio. Poco dopo si apre una postierla ad arco ogivale e cieca, che serviva per le escursioni notturne.
Ancora dopo, a livello del terreno si possono notare delle canalette di scolo che costituiscono lo scarico del sistema di raccolta delle acque meteoriche di cui le mura erano dotate. Proseguendo sino all'angolo verso sud-est le mura vedono progressivamente aumentare la loro altezza sino a superare i 10 metri e, oltre l'angolo, presentano una serie di contrafforti ortogonali alla parete.
All'interno del perimetro delle mura, verso nord, è stato riportato alla luce il quartiere militare con resti degli edifici con gli alzati in mattoni crudi. Poco distante è stato scoperto un vasto quartiere residenziale di epoca timoleontea che ha dimostrato l'estensione della città a ridosso delle fortificazioni. Durante gli scavi della fine degli anni quaranta nella zona ad est delle mura sono venute alla luce delle casermette poi nuovamente coperte. In quest'ultima zona, già soggetta a scavi archeologici ai primi del 1900, sono ancora presenti rotaie e mezzi meccanici abbandonati adibiti agli scavi. Nel 2006, durante i lavori di scavo per la realizzazione di un parcheggio multipiano, nelle vicinanze del parco, è stata scoperta la testa in marmo bianco di una statua greca.
Capo Soprano è sempre stata una zona importante per la sua valenza militare grazie alla posizione alta sul mare e sulle montagne a nord della vasta pianura gelese, tanto che per riportare alla luce le mura è stato necessario abbattere numerosi bunker realizzati durante la seconda guerra mondiale sopra le dune sabbiose.

Palazzo di città

Il nuovo Palazzo di Città, inaugurato nel 1951, si dispone parallelamente alla costa per una lunghezza complessiva di circa 150 metri. Occupa un intero isolato, tra il viale Mediterraneo, piazza San Francesco, via Donizetti e via Giacomo Navarra Bresmes, e circonda quindi Si dispone su quattro livelli di cui quello terreno risulta seminterranto nella parte rivolta a nord (pendenza). La facciata del palazzo è rivestita con lastre piatte in pietra di Comiso e lavorate a bocciarda., elemento ricorrente nelle architetture post-belliche della cittadina del Golfo. L'effetto che produce tale pietra è di grandissima luminosità. Con la sua imponente mole il municipio domina il paesaggio costiero del centro cittadino, dando un'immagine di modernità. L'elemento caratterizzante del prospetto esterno è la linea retta, riscontrabile nei due grandi finestroni (di cui, quello rivolto a sud ospita la soleggiata aula consiliare) e nella miriade di finestre e ingressi di varie dimensioni. L'elemento di riconoscimento è la torre dell'orologio, alta quasi 30 metri.
Il complesso ospita parte degli uffici del Comune di Gela.
Durante i lavori di scavo per la costruzione dell'edificio vennero alla luce i ruderi di un tempietto greco.

venerdì 10 maggio 2019

Stadio Vincenzo Presti

Lo Stadio Vincenzo Presti, noto più semplicemente come Vincenzo Presti, è un impianto calcistico situato a Gela, nel quartiere Giardinelli, che fa angolo con la via Venezia, principale strada che attraversa tutta la città e la via Niscemi.
Lo stadio, nato agli inizi degli anni cinquanta circa, fu battezzato con il nome dell'omonima contrada in cui venne costruito, il Giardinelli. Successivamente la struttura fu intitolata all'atleta gelese Vincenzo Presti.
Dal 1994, la struttura ospita le partite interne della principale società calcistica della città, il Gela.
Questa é la curva Angelo Boscaglia e per i paesani gelesi la domenica e una tradizione andare tutti alla curva Angelo Boscaglia.

Chiesa Madre

La Chiesa madre sorse nel 1970, dinnanzi la principale piazza cittadina (piazza Umberto I, già del Duomo), in sostituzione della trecentesca chiesa di Santa Maria de' Platea[1], e fu completata con la realizzazione nel 1844 della facciata neoclassica in pietra arenaria  e con l'innalzamento della torre campanaria nel 1837 su progetto di Emanuele di Bartolo . Per la sua costruzione probabilmente vennero sfruttati i massi della vecchia chiesetta provenienti a loro volta dai templi e monumenti dell'antica città greca.La chiesa madre è la chiesa più storica e la più importante come struttura di chiesa.L'interno, ampio e luminoso, presenta: pianta a croce latina con schema basilicale e cupola ed è suddiviso in tre navate da pilastri e arcate neoclassiche, decorate in oro zecchino; diversi affreschi con iscrizioni latine sono presenti sulla volta della navata centrale. Le navate laterali presentano volte a vela.
Al suo interno vi è una tela rappresentante il transito di Maria, già conservata nella chiesa di Santa Maria de Platea. Sopra l'altare maggiore in marmopolicromo misto a vetro, è situata una tela raffigurante l’Assunzione della Madonna, opera di Giuseppe Tresca (1710-1795). Sopra l'ingresso principale è presente un grande organo del 1939 con 31 canne di facciata.
Nelle navate laterali sono conservati altri dipinti, altari minori e monumenti funerari marmorei, tra i quali spicca quello dedicato al Mallia, opera di Filippo Pennino. Infine nella moderna casa parrocchiale sono custoditi dipinti con ritratti di eminenti personaggi ecclesiastici del passato e, nell'archivio, antichi documenti risalenti al XVI secolo